domenica 25 gennaio 2009

Giro intorno ma alla fine arrivo qui

Apro questa finestra da 26 anni, nemmeno le ante ho cambiato. Non le ho mai nemmeno riverniciate. Lo stesso verde segnato dagli stanchi capillari di un pezzo di legno che ha smesso di chiedere. Proprio come me. Sono arrivato qui quando si respirava un vento nuovo, lingue diverse, il fenomeno di una grande fabbrica che ha fatto sperare tanti. Non me ne sono mai andato, anche se oramai non spero più. Come tanti altri. La fabbrica è dismessa da tempo. Resta solo un edificio fatto di vetri, gli stessi vetri voluti per permettere al sole di andare a sfiorare le stanche tute blu di chi ci ha creduto veramente di esser parte di qualcosa. Un edificio dai contorni grigi, la muffa vischiosa lungo i canali di scolo. Sì, la muffa. Anche quella riesco a vedere da questa finestra. E' l'unica macchia di verde in questo grigio dominante. I colori in questa città se li sono dimenticati. O forse sono io che ho smesso di vederli. Mi sono abituato a non dire più "ti amo", a non scriverlo nemmeno. Ho imparato che l'amore si può fare anche per affetto, per noia, per semplice voglia di non ammettere con gli altri - e forse prima con se stessi - che "lo facciamo solo una volta ogni cinque mesi". Almeno una al mese lo devo fare. Almeno una. E cosa importa se penso ad altro, e se vedo solo grigio. Paola si chiama lei. Mia moglie. Il ventre gonfio delle gravidanze che ha desiderato. Le spalle chine per le quattro volte che ha scoperto che era solo un desiderio. Non ce l'ha più fatta a raddrizzarle. E io non le ho più chiesto di farlo. Ho imparato ad accettare anche la sua arroganza, i suoi commenti velenosi, quel suo sottile godere della cattiveria che mi sputava addosso. Ho smesso di risponderle, di urlarle contro. La vita l'ha già punita abbastanza. Come solo può far male un ventre gonfio. Gonfio di un semplice desiderio.
La aspetto quando smonta dal turno, la ascolto mentre ripone le scarpe e indossa le ciabatte con l'interno di pelo. Conto i gradini che la separano da me. Uno. Due. Tre. Fino a sedici. Conto ogni sera fino a sedici, come gli anni che avrebbe avuto il nostro primo figlio. E me lo ripeto ogni volta. Arriva, mi saluta, mi bacia la nuca, appoggia le labbra dove le appoggiava da ragazza, lungo i vicoli di Avola, quando mi coglieva alla sprovvista. Mi è rimasto questo di lei. Il ricordo di quando ancora riuscivamo a sorriderci, guardandoci negli occhi. Ora sorridiamo sì. Almeno una volta al mese. Anche quello. Sorridiamo, insieme, ma ognuno con lo sguardo altrove.
Lorenza mi guardava negli occhi. Lei sì. E mi gridava "Guardami! Guardami mentre sorridi! Ascoltati mentre ridi! Vedi che ce la fai ancora!". A Lorenza ho detto "Ti amo", a Lorenza l'avrei amata ogni notte, ogni notte di ogni mese. Il naso fra il suo odore, fra le pieghe del seno, delle braccia, delle gambe. "Mi consumi", mi diceva. Pensava ce l'avrei fatta. Era convinta che avrei saputo ricominciare da capo. Ero convinto anch'io. Ho aspettato che Paola salisse il sedicesimo gradino per dirglielo. Si è fermata al decimo. Ha pianto piano. Si è seduta, accartocciando le spalle chine. Le ho preso una mano e l'ho portata al sedicesimo. Le ho tolto le scarpe e le ho messo le sue ciabatte di pelo. Ho chiuso la finestra. Ho chiuso la porta. Lorenza non ha mai capito. Ma non ha più chiesto.
Mi hanno domandato dove mi vedo fra dieci anni. Esattamente qui. Ad aprire questa finestra. Se apro un vocabolario e cerco sotto la voce "coraggio" sono sicuro che ci trovo anche me.

3 commenti:

escopocodisera ha detto...

e meno male che alla fine arrivi qui...quasi non ci speravo più. ma mica devono passare altri 3 mesi per un'altra storia bella come questa?
se domandassero a me dove mi vedo tra 10 anni, risponderei allo stesso modo, qui dove sono ora con ciò che ho ora...magari!
un bacione grande grande.

gians ha detto...

stefi cara, ci ho messo una settimana per pensare a quanto scriverti oggi, non è da me, in genere butto il mio commento su due piedi, senza nemmeno aprire quella finestra della mente, che in genere contiene i veri pensieri. il tuo post mi porta a pensare vicende tanto vicine alle mie, e se devo essere sincero sono parecchio combattuto se dire che sia giusto chiamare coraggio il finale della splendida pagina di vita che mi hai sottoposto, o magari paura, paura di mettersi in gioco con il nuovo. un abbraccio e buon weekend.

Anonimo ha detto...

corretto