tag:blogger.com,1999:blog-56410298995174386102024-03-19T09:24:39.232+01:00scriviastefiUnknownnoreply@blogger.comBlogger17125tag:blogger.com,1999:blog-5641029899517438610.post-61623357507277284432013-02-10T21:34:00.000+01:002013-02-10T21:34:16.539+01:00Quando vien fuori la voce<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div style="text-align: justify;">
<span></span></div>
<div class="separator" dir="rtl" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgi0wC2TqDM__7TKHvy8OoMUnDhgBeVs6OHmfn4oSB8hy2nP9G3nxM-qWyIi20NtYpLAMxZ35OAWLKtbLhSW90-6RHuZQqL1PrbRfPn8Nl-90yidipB9GSsEFYioFHiU42Vg7hH7zUP8p44/s1600/depressione_donna_1.jpeg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="360" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgi0wC2TqDM__7TKHvy8OoMUnDhgBeVs6OHmfn4oSB8hy2nP9G3nxM-qWyIi20NtYpLAMxZ35OAWLKtbLhSW90-6RHuZQqL1PrbRfPn8Nl-90yidipB9GSsEFYioFHiU42Vg7hH7zUP8p44/s400/depressione_donna_1.jpeg" width="400" /> </a></div>
<div class="separator" dir="rtl" style="clear: both; text-align: center;">
<br /></div>
<span><span style="font-size: small;"><span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;">È più facile voltare lo sguardo. Chiudere i sensi.</span></span><br />
<span style="font-size: small;"><span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;">Prima
lo sapevo. Ora me lo sento addosso. Abbassare gli occhi davanti ad uno
sguardo annacquato da ciò che è aiuto e castigo in un’anima che un bel
giorno ha perso la luce, la strada, il senso. Per lasciar spazio ad un
dolore che non sai bene da dove arrivi, dalla paura di trovarti solo in
un posto, sia il cavalcavia di un’autostrada o le quattro pareti di un
ascensore, schiacciato dalla gente, dalle cose, dal tuo stesso sentire.
Incompreso tra pochi, solo tra tanti. A fare vittime tra chi non capisce
cosa sia accaduto e trovare carnefici tra chi dice che è tutta
un’idiozia. Fattucchiere manipolapiedi, dispensatori di consigli e
granelli di acqua e zucchero, a invocare un’altra disciplina orientale
che mette in contatto corpo e anima, nell’illusione di plasmare bisogni,
sedare pulsioni, calmare manie.</span></span><br />
<span style="font-size: small;"><span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;">È più facile voltare lo sguardo. Chiudere i sensi.</span></span><br />
<span style="font-size: small;"><span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;">Difficile
è ascoltare, lasciarsi affondare da fiumi, fiumi veri di parole.
Prendersi colpe che nemmeno si sapeva di avere, colpe di ciò che non ti
sei mai accorto di essere nella vita che facevi per conto tuo.
Inghiottire anatemi, promesse di vendetta, giuramenti che solo a
sentirli stringi i pugni, sfoghi di rabbia che lasci passare rispondendo
con il silenzio perché anche un “ora calmati” può scatenare l’inferno.</span></span><br />
<span style="font-size: small;"><span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;">E
a chi mi dice che dovrei dar voce al mio dolore vorrei spiegare che non
ne ho titolo. Che chi sta di là soffre molto più di me. Perché sta
sprofondando. Fino in fondo. E che ci sono sofferenze che affondano
nell’incomprensibile accettazione di non trovare nemmeno più il ricordo
di ciò che era una persona. Nel pensare in ogni istante, invocando un
dio dimenticato, “ridammela com’era”. Riportami il suo profumo che
sapeva di viole raccolte a inizio primavera e di una mano da stringere.
Una mano più grande che di madre non era, ma tanto le somigliava. E lo
cercherei e lo pregherei quel dio per riaverla. Farei anche questo.</span></span><br />
<span style="font-size: small;"><span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;">Risentire
il suo sorriso, perché io lo sentivo nella sua voce, saperla serena
dovunque questo possa accadere. Amata come lei ha sempre desiderato
essere. Sul palco di una vita che ha vissuto da protagonista non per
un'estasi che ora è una diagnosi, ma perché solo così riusciva a fare.</span></span><br />
<span style="font-size: small;"><span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;">Trovarsi
in un angolo del divano, come una bambina che non ha ancora imparato
che la realtà non si cambia, con le dita dei piedi come artigli sul
cuscino rosso a chiedere “torna indietro, tempo”. Come quando volevo
tornassero le vacanze passate, volevo tornassero le ore che non avevo
impiegato a studiare e oramai era troppo tardi per farlo, volevo
tornassero gli anni in una casa che ho dovuto abbandonare.</span></span><br />
<span style="font-size: small;"><span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;">“Torna indietro, tempo”. Ma anche questo è voltare lo sguardo.</span></span><br />
<span style="font-size: small;"><span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;">E allora tempo resta ciò che sei. In qualche modo i mali si combattono. Anche questi.</span></span><br />
<span style="font-size: small;"><span style="font-family: Georgia,"Times New Roman",serif;">Ascolto.
Anche stasera. In silenzio. E giuro che prima o poi smetto di dire
“ridammela com’era”. Respiro forte, deglutisco il salato che mi arriva
in bocca, e inizio a pensare “va bene anche così. È sempre lei”.</span></span></span></div>
Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5641029899517438610.post-16649316963918807092012-01-22T18:37:00.001+01:002012-01-22T18:37:43.903+01:00vita nuova...http://finalmentefinalmente.blogspot.com/Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5641029899517438610.post-43236423599502640822011-06-08T23:21:00.002+02:002011-06-08T23:23:48.387+02:00scripta manentHo letto queste storie ed ho pensato "peccato che non scrivo più"...<br />Vediamo se a vederlo scritto mi aiuto a riprovarci...<br />stefi senza puntiniUnknownnoreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-5641029899517438610.post-77676285531116119412009-02-08T23:35:00.000+01:002009-02-08T23:36:00.345+01:00Io che posso scegliere<div align="justify">Oggi è domenica, ha fatto buio da un po'. Sento solo il rumore del mio respiro e la consapevolezza delle scelte che ho fatto.<br />Le scelte che ho fatto oggi, le scelte che faccio da sola, senza che nessuno le pensi per me.<br />Ho scelto di alzarmi anche se pioveva. Di lavarmi il viso, anche senza aspettare che arrivasse l'acqua calda. Di camminare scalza e sfidare un brivido, anche se la febbre è passata da poco.<br />Ho scelto di lasciar correre il mio cane con le zampe nel primo tratto del lago, ad inseguire i cigni che son pure più cattivi di lui. Gliel'ho lasciato fare, ho scelto io per lui. Ma lui mi ha ringraziato, anche quando, al ritorno, ho fatto cadere - per l'ennesima volta - uno straccio umido sulle sue orme di fango. Ho scelto di dormire, di fianco al fuoco, col libro sulla faccia, a ricordarmi di quando mi alzavo per studiare la notte e non potevo permettermi di farlo.<br />Ho scelto di rosicchiarmi le unghie della mano destra, anche se non so più quante volte mi sono ripromessa di non farlo. Ma pensavo al lavoro, al rientro in ufficio, e non ce l'ho fatta a trattenermi. Poi però ho scelto di non pensarci più e la mano è scesa, seppur tra dolore di aghi, lungo i fianchi. <br />Nella mia vita ho scelto ad un certo punto di andarmene. Di studiare quando gli altri avevano finito. Di iniziare a scrivere per gioco quando avrei dovuto provare a fare sul serio. Di cercare un compromesso quando avrei dovuto lottare per un obiettivo. Di chiudermi porte alle spalle quando forse altri avrebbero tentato di nuovo. Di dare nuove possibilità e di darne a me. Di condividere spazi ed esistenze, anche se mi illudevo di cavarmela da sola. Di diventare madre, senza ancora sapere quanto impegno ci voleva.<br />Se ogni giorno mi alzo è perché scelgo di farlo. Se ogni notte mi rannicchio e chiudo gli occhi è perché scelgo di farlo.<br />Quale senso avrebbe ritrovarmi ora in questa stessa stanza, sentire il mio respiro e sapere che altri scelgono per me? Pensare che ho perso un pezzo di vita per strada, una notte di diciassette anni fa, e non ho più ritrovato la stessa vita e nemmeno i pezzi intorno? E perché non posso permettermi di pensare che, anche se respiro, questa vita senza scegliere non era ciò che volevo? Quanto conta respirare se non puoi scegliere se lasciarti entrare forte forte l'intensità di un profumo che ti ricorda la primavera che arriva, o tapparti il naso per non sentire puzza di ipocrisia?<br />Sento ancora il mio respiro, anche se ora non ce la fa ad arrivarmi sereno in pancia. Scelgo di stare in silenzio. Scelgo di andare a rannicchiarmi per non pensare a niente.<br />E scelgo. Io che posso farlo.<br /> </div>Unknownnoreply@blogger.com15tag:blogger.com,1999:blog-5641029899517438610.post-79943063712940807682009-01-25T23:25:00.002+01:002009-01-25T23:31:17.049+01:00Giro intorno ma alla fine arrivo qui<div align="justify"><span style="font-family:georgia;">Apro questa finestra da 26 anni, nemmeno le ante ho cambiato. Non le ho mai nemmeno riverniciate. Lo stesso verde segnato dagli stanchi capillari di un pezzo di legno che ha smesso di chiedere. Proprio come me. Sono arrivato qui quando si respirava un vento nuovo, lingue diverse, il fenomeno di una grande fabbrica che ha fatto sperare tanti. Non me ne sono mai andato, anche se oramai non spero più. Come tanti altri. La fabbrica è dismessa da tempo. Resta solo un edificio fatto di vetri, gli stessi vetri voluti per permettere al sole di andare a sfiorare le stanche tute blu di chi ci ha creduto veramente di esser parte di qualcosa. Un edificio dai contorni grigi, la muffa vischiosa lungo i canali di scolo. Sì, la muffa. Anche quella riesco a vedere da questa finestra. E' l'unica macchia di verde in questo grigio dominante. I colori in questa città se li sono dimenticati. O forse sono io che ho smesso di vederli. Mi sono abituato a non dire più "ti amo", a non scriverlo nemmeno. Ho imparato che l'amore si può fare anche per affetto, per noia, per semplice voglia di non ammettere con gli altri - e forse prima con se stessi - che "lo facciamo solo una volta ogni cinque mesi". Almeno una al mese lo devo fare. Almeno una. E cosa importa se penso ad altro, e se vedo solo grigio. Paola si chiama lei. Mia moglie. Il ventre gonfio delle gravidanze che ha desiderato. Le spalle chine per le quattro volte che ha scoperto che era solo un desiderio. Non ce l'ha più fatta a raddrizzarle. E io non le ho più chiesto di farlo. Ho imparato ad accettare anche la sua arroganza, i suoi commenti velenosi, quel suo sottile godere della cattiveria che mi sputava addosso. Ho smesso di risponderle, di urlarle contro. La vita l'ha già punita abbastanza. Come solo può far male un ventre gonfio. Gonfio di un semplice desiderio.<br />La aspetto quando smonta dal turno, la ascolto mentre ripone le scarpe e indossa le ciabatte con l'interno di pelo. Conto i gradini che la separano da me. Uno. Due. Tre. Fino a sedici. Conto ogni sera fino a sedici, come gli anni che avrebbe avuto il nostro primo figlio. E me lo ripeto ogni volta. Arriva, mi saluta, mi bacia la nuca, appoggia le labbra dove le appoggiava da ragazza, lungo i vicoli di Avola, quando mi coglieva alla sprovvista. Mi è rimasto questo di lei. Il ricordo di quando ancora riuscivamo a sorriderci, guardandoci negli occhi. Ora sorridiamo sì. Almeno una volta al mese. Anche quello. Sorridiamo, insieme, ma ognuno con lo sguardo altrove.<br />Lorenza mi guardava negli occhi. Lei sì. E mi gridava "Guardami! Guardami mentre sorridi! Ascoltati mentre ridi! Vedi che ce la fai ancora!". A Lorenza ho detto "Ti amo", a Lorenza l'avrei amata ogni notte, ogni notte di ogni mese. Il naso fra il suo odore, fra le pieghe del seno, delle braccia, delle gambe. "Mi consumi", mi diceva. Pensava ce l'avrei fatta. Era convinta che avrei saputo ricominciare da capo. Ero convinto anch'io. Ho aspettato che Paola salisse il sedicesimo gradino per dirglielo. Si è fermata al decimo. Ha pianto piano. Si è seduta, accartocciando le spalle chine. Le ho preso una mano e l'ho portata al sedicesimo. Le ho tolto le scarpe e le ho messo le sue ciabatte di pelo. Ho chiuso la finestra. Ho chiuso la porta. Lorenza non ha mai capito. Ma non ha più chiesto.<br />Mi hanno domandato dove mi vedo fra dieci anni. Esattamente qui. Ad aprire questa finestra. Se apro un vocabolario e cerco sotto la voce "coraggio" sono sicuro che ci trovo anche me.</span></div>Unknownnoreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-5641029899517438610.post-48070405826812480412008-10-03T23:22:00.001+02:002008-10-03T23:30:54.244+02:00Giuro che sono una donna spiritosa...<div align="justify">Non scrivo di me. Scrivo io, ma non di me. Non sempre, almeno. Scrivo di chi mi scrive, di chi mi tocca, di chi va a cercarmi ricordi passati che tutto ad un tratto tornano nuovi. E un po' li sento ancora nuovi. Ma non sono io. Ho ricevuto messaggi privati da persone che non conosco (anche se un po' mi sembra di sì!) pieni di affetto e di comprensione, ma mi sono quasi sentita una ladra: ladra di "forza", "passa tutto", "vai oltre"... Li regalo a chi mi ha regalato la sua storia, scrivendomene. Li regalo a chi davvero c'era dietro quelle che erano solo parole mie. Che poi, forse, dietro ad alcune storie, ci siamo stati tutti, almeno una volta.<br />Stanotte chiudo questi occhi che sono miei da trentatré anni - trentatré anni oggi - e chiudo occhi sereni. Contornati dei primi solchi, ma amo dire che stanno lì perchè ho sorriso troppo. E sorrido ancora, anche se spesso scrivo triste, "difficile da digerire", ma giuro che sono una donna spiritosa. E sì, giuro che mi chiamo davvero Stefi.</div>Unknownnoreply@blogger.com21tag:blogger.com,1999:blog-5641029899517438610.post-14016419201596334632008-09-27T00:00:00.003+02:002008-09-27T10:27:25.702+02:00Punto senza a capo<div align="justify">Ho provato diverse volte ad immaginare un abbandono. Non faceva male come lo fa stanotte. Ma come? Fuori non si sente quanto mi urla dentro? Fuori non sentite rumore di pezzi che cadono? Attenzione, fatemi largo mentre vi passo a fianco. Perdo pezzi. Pezzi di me. Non ero adatta, cerca altro. Ma non è colpa mia. Avete sentito? Avete sentito bene? Non è colpa mia. Io sono perfetta. Sono dolce, parlo delicato, profumo di buono. È lui che ha bisogno di tempo. Io sono perfetta. Mamma, ho bisogno anche di te stanotte. Mi tieni ancora con le gambe nelle gambe e mi dici che passa tutto? Mi chiami ora, mamma? Mi chiami ora o lasci anche tu questo telefono muto? Ehi, là fuori, si può fare F5 col cellulare? Si aggiornano le chiamate? Mi entra una chiamata se faccio F5? Va bene anche spam. Va bene anche un sondaggio Vodafone. Ma parlatemi, vi prego. Qualcuno mi parli, quacuno raccolga questi pezzi stanotte. Perchè nei film tornano indietro e se ne accorgono? Perchè io sono qui sola stanotte? Se ti vengo sotto casa e guardo la luce che si spegne, ti accorgi che ti dico buonanotte? La passi bene la notte? Non ti manca un profumo di buono? L'ho sempre detto che dovevo imparare a suonare la chitarra, faceva scena ora prenderla in mano, in questa stanza che sa di muffa, e suonare il Requiem a quello che oggi butto via. Posso raccontarmi che in fondo ti manco, che anche tu vai alla porta e torni indietro perchè è dura starmi lontano, ma la coerenza vince? Posso passarmi la mano sul viso sperando tu ne invidi il tocco, giocarmi le dita sulle cosce sapendo che le tue cercherebbero lì. Posso farlo? Già lo fai? E non a me?<br />Da dove ricomincio ora? Dove ho inizio io? Dai piedi che stanotte non sanno proprio saldarmi a niente? Dalle mani che vorrei segnare di tagli sottili così mi vedono, così mi dicono "ha bisogno di aiuto". Così mi vedi tu... Dalla testa? Dai capelli? Domani li taglio, anzi ora li taglio. Da sola, con le forbici piccole, quelle della carta. Lo faccio come se fosse un dramma, lo faccio per raccontarlo un giorno a una figlia, lo faccio per ricordarmi tutto ancora di più. Ma come lo dimentico, poi?<br />Chiudo le ante, non piove nemmeno, che se piovesse mi farei pena ancora di più.<br />Lascio stare i capelli. Lascio stare le mani. Lascio stare. Lascio.</div><iframe allowfullscreen='allowfullscreen' webkitallowfullscreen='webkitallowfullscreen' mozallowfullscreen='mozallowfullscreen' width='320' height='266' src='https://www.blogger.com/video.g?token=AD6v5dzuOUc9g8obvAfyQhFlVYMO1m2k4s-gEK2QA74v0gyQgX5wmCKyAcJWYQ14a8ceLe6QsWcN-rnyhAAx0cr33A' class='b-hbp-video b-uploaded' frameborder='0'></iframe>Unknownnoreply@blogger.com6tag:blogger.com,1999:blog-5641029899517438610.post-62622167498083313132008-06-25T00:01:00.001+02:002008-06-25T09:36:01.723+02:00Figli a metà<div align="justify">Ilaria è figlia di Marina. Giovanni è figlio mio. Suo padre, che è padre di entrambi, li chiama fratello e sorella. Io ci provo. Di tanto in tanto sussurro a Gio "lo sai piccolino che hai già una sorella?", ma a Ilaria non lo dico mai. Ho paura. Paura che mi guardi e io quel suo sguardo, quello che indossa quando c'è qualcosa che non riesce a spiegarsi, non lo so reggere. Non ho ancora imparato a farlo. La conosco da dieci anni, da quando l'ombra del cappellino rosa (che ora nega di avere indossato, lei che "il rosa l'ha sempre odiato") le nascondeva gli occhi scuri - presi a prestito da sua madre - di bambina di quattro anni. Suo padre me l'ha presentata in mezzo ai banchi di un mercato. Mani unte dentro un sacchetto di "smile" fritti, le stesse mani che poi ho ritrovato fra le mie di ragazza venticinquenne con piercing all'ombelico, innamorata dell'"uomo maturo, con un passato alle spalle, e tanti paletti da lasciare in piedi". Mi ha chiesto "come ti chiami?" "Io Simona, e tu?" "Ilaria". La prima cosa che avrei voluto dirle? "Ilaria, io non c'entro. Sono venuta dopo. Dopo che papà e mamma non avevano più niente da dirsi, dopo che i tuoi incubi notturni ti portavano nella stanza con il letto grande e ci trovavi solo mamma, dopo i silenzi, dopo gli occhi rossi di papà "che forse è entrato qualcosa a far la bua", dopo i discorsi su quanto è bello avere due case, due armadi e i giochi doppi. Io sono venuta dopo, Ilaria. Credimi". Non ho detto niente. Ha parlato lei: "Hai la pelle liscia, senza rughe. Vorrei che fossi tu la mia mamma". E così io, che mamma proprio non ci pensavo ad esserlo, mi ci sono trovata in mezzo. In mezzo, fra lei e suo padre, sul divano con la fodera blu, "lo stesso della casa con mamma", a ridere per Mr. Potato che alle 21:05 corteggia le Barbie di Toys Story mentre voci in strada fuori mi ricordavano che a quell'ora si è solo all'aperitivo e il meglio deve ancora venire. Ora la guardo dormire, in questa stanza calda che divide con Gio. Vestiti in terra e fumetti sotto il letto, l'ombretto verde ancora sugli occhi "messo di nascosto da papà e tu Simo non glielo dire" e ripenso ai suoi natali malinconici in cui mancava sempre "qualcuno" perchè un giudice aveva deciso così, ai suoi silenzi orgogliosi di bambina forte che ha imparato a parlare e poco dopo a tacere per non fare male a mamma, per non fare male a papà. Ripenso alle frasi dette con rabbia, ai "tu non sei mia madre!" gridati prima di lasciarsi alle spalle una porta pesante quanto il silenzio dietro, alla gelosia degli abbracci di cui non potevo far parte, al mondo di padre e figlia da cui mi sedevo rispettosamente fuori perchè era giusto così.<br />Ora Gio la cerca. Sa che "Ilaria è a scuola", ad ogni ora del giorno. Arriverà il tempo in cui dovrò spiegargli che Ilaria ha un'altra casa e un'altra mamma o che forse ne ha due perchè alla fine quella venticinquenne con il brillantino alla pancia un po' mamma - con un passo indietro di rispetto parlando - si è sentita. Una notte l'ho trovata a fianco del lettino di Gio, lo accarezzava, aveva perso il ciuccio e lei era scesa a cercarglielo. Proprio come fa una sorella, anche se il suo e il mio orgoglio ci hanno impedito di dirlo. L'ho accarezzata anch'io, ora che "tu non sei mia madre" non me lo griderebbe più, nemmeno per gioco. Ora che mi abbraccia, mi chiama "vecchia" e io mi sento la pancia vibrare, come nei primi sussulti di un figlio in grembo.<br />Il piercing l'ho tolto. Sono arrivati i capelli bianchi e dio se starei male se qualcuno tenesse sulle gambe Gio mentre io sola a casa mi invento un'altra vita. Me ne accorgo ora, e ripenso anche a te Marina. Ci ripenso e capisco tante cose che allora non capivo. Venticinque anni e un foro all'ombelico a volte ti fanno sentire più forte...</div>Unknownnoreply@blogger.com12tag:blogger.com,1999:blog-5641029899517438610.post-40240494281054421872008-05-29T00:19:00.005+02:002008-05-29T00:29:26.687+02:00Vuoto a rendere mai<div align="justify">Tuo padre non si è mai ricordato quand'è il tuo compleanno. Sarà per questo che senti un vuoto dentro che si fa persino l’eco? O sarà per quei ricordi di bambina al mercato di un paesino curioso, a guardare in su gli occhi a parentesi chiusa di tua madre mentre supplicava qualche creditore di aspettare ancora qualche giorno? Dieci minuti fa hanno chiamato dall’ospedale: l’hanno ricoverato in terapia intensiva. Hai persino corso lungo le scale per vedere se era morto. Per vedere, per sperare, poco importa cosa si pensa in questi casi. Gli hai comprato un pacchetto di biscotti alla macchinetta, giusto per allungare il percorso. Glieli hai portati. Era vivo, come sempre. A morire sono stati gli altri. Dentro però. I biscotti li ha presi. Fagocita tutti, inghiotte anche te. Ti mastica con le bugie, ti stritola con l’ipocrisia, ti deglutisce con l’arroganza. E prima che te ne vai del tutto, ti stacca a pezzi con lo stuzzicadenti che non si è mai tolto dalla bocca. Lasci la stanza 36 alle spalle, ci ha già pensato tua sorella a portargli un pigiama pulito. Tua sorella che ha ancora meno pezzi in ordine di te. Un’altra porta a vetri e sei fuori, e guai a te se piangi. Eccolo il vuoto, che ogni volta che spingi in basso un respiro ti sembra che arrivi una raffica di vento alla milza. Caccialo giù quel fiato, mi spiace ma il vuoto te lo tieni. Certe cose non si rendono mai a chi te le ha date. E com’è forte quell’eco stanotte.</div>Unknownnoreply@blogger.com11tag:blogger.com,1999:blog-5641029899517438610.post-4925281844145063782008-05-23T10:25:00.006+02:002008-05-26T09:47:58.114+02:00Scelte di pancia<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgI2ImAf9xU1dQl-teuMHc9zt9UWuZANJ0dBWKKVhzM5Dr4zMfebnvx6Q9f8u2rf0fkU6N6-34t22McKkrapskonlZ5HyUjrZlY3aniWliZ8vMJw3DN7yGnGTeDWXicQt-6zgNewpre_Wje/s1600-h/77_small_pancia.jpg"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5203488703457936802" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; CURSOR: hand" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgI2ImAf9xU1dQl-teuMHc9zt9UWuZANJ0dBWKKVhzM5Dr4zMfebnvx6Q9f8u2rf0fkU6N6-34t22McKkrapskonlZ5HyUjrZlY3aniWliZ8vMJw3DN7yGnGTeDWXicQt-6zgNewpre_Wje/s400/77_small_pancia.jpg" border="0" /></a><br /><div><br /><br /><div><br /><br /><div align="justify">Abdwahd è nato in mare. A 12 miglia da Lampedusa. Su un barcone che ce l’ha fatta a raggiungere terra. Questa volta. Niente paperelle sui muri, niente musiche “ambient”, niente ostetriche che ti gridano addosso, contandoti i respiri, ricordandoti di fare come hai imparato al corso del martedì pomeriggio. La madre non aveva bisogno di istruzioni, ne ha già fatti cinque di figli. Probabilmente gridando, accucciata con i piedi su una terra polverosa, stringendo forte gli occhi nei momenti in cui ti sembra ti scoppi la faccia da tanto spingi.<br />Abdwahd significa Fortunato in italiano. Forse lui italiano lo diventa, ora “ne stanno discutendo”. Penso a Leonardo, nato italiano fra paperelle e musichette, dopo un’iniezione che aiuta a dimenticare quel “partorirai con dolore” di – si dice – tempo fa. Penso a lui che in gommone c’è stato: a Capri, con addosso il giubbotto salvagente - che la mamma ha paura che cadi - e la crema protezione 60 sul naso – che magari ti scotti - col papà che lo fotografa perché vuole ricordarsi il momento. E poi penso di nuovo “quando inizia il destino?”. Quando scegli in che pancia nascere?<br />Penso alla Franzoni che, assassina o no, ha lasciato i figli alle tre di notte. E penso che un figlio non dovrebbe mai vedere la sua mamma andarsene, non dovrebbe mai dover gridare “mamma, non andare via”, anche se la madre sei anni prima gli ha ammazzato il fratello.<br />E sorrido, di un sorriso triste, pensando che io entro in macchina con il groppo in gola al solo pensiero che Leonardo pianga dietro le porte a vetri dell’asilo nido, quando mi vede andarmene e non capisce che tornerò a prenderlo, che gli porterò la solita caramella Elah da dividere in due perché altrimenti si strozza. Che lo metterò sulla giostra dei cavalli e lo seguirò con lo sguardo, perché coltivo il pensiero fisso che l’amore lo percepisca dai miei occhi e non dalle mie cure. Leonardo che avrà, spero, dei fratelli che non dovrò “lasciare indietro”, perché un giorno ho dovuto decidere se continuare a vivere in un posto dilaniato dalla guerra o provare a cercare un futuro da qualche parte che sia migliore anche per loro, senza sapere se ci arriverò viva in quel futuro.<br />Quanto può essere difficile la vita, Adbwahd, se si sbaglia pancia. Quanto può essere difficile.</div></div></div>Unknownnoreply@blogger.com6tag:blogger.com,1999:blog-5641029899517438610.post-38223923083102624952008-05-08T21:31:00.005+02:002008-05-08T22:22:58.947+02:00Stefano&Domenico<div align="justify">Valeria veste Dolce. Si guarda dietro negli specchi e tamburella il dito sulla mia scrivania, tanto ha il french e le unghie non si spezzano. Va in palestra, paga l'abbonamento "all inclusive" ma cammina piano sul tapis roulant solo il martedì perchè se corre il completo Freddy poi puzza e non sta bene che puzzi, e poi come fa a correre e concentrarsi sul 730 dei maschi liberi e non che alzano pesi qua e là. Fare due cose allo stesso tempo mica le riesce bene alla Valeria.<br />Valeria dice che Stefano è simpaticissimo, mentre Domenico è un po' più schivo, lei lo sa. Il suo amico Matteo è stato a New York con loro ad incontrare Madonna, e che simpatici che sono. Se tutto va bene, la prossima volta ci porta pure lei.<br />Valeria mangia piano, separa i semi dalla polpa dei pomodori perchè lei dalla vita non vuole fastidi. Meglio lasciarli agli altri, come i piatti da lavare, che lei proprio non lo regge di fare i piatti. Valeria lava i capelli solo il giovedì, ma non a casa. Fa la piega dal parrucchiere così le dura fino al giovedì dopo, palestra del martedì compresa. E forse lo dice Giorgio che "unto è bello".<br />Valeria si addormenta con il rimmel e la matita, e il giorno dopo ritocca il trucco, ci passa l'acqua intorno. Si annusa sotto il braccio, solo per controllare che sia degno di reggere la borsa piena di G.<br />Valeria ha le porte aperta da Miuccia, lo ripete sempre, ogni volta che le tocca di fermarsi fino alle 18:30, che poi mi chiedo perchè non la varchi quella soglia invece di dividere con me una mezza scrivania, appoggiata su pezzi di moquette tutti diversi, con un telefono in due e lo stipendio in ritardo sempre di un giorno.<br />Forse Valeria è sola e sente i 35. Forse baratterebbe l'amicizia con Stefano&Domenico, i consigli di Giorgio e la porta di Miuccia con un qualsiasi qualcuno che la facesse sentire un po' meno sola. Forse non gli chiederebbe nemmeno il 730. Cosa non si fa per un pezzo di cuore un po' più caldo...</div>Unknownnoreply@blogger.com19tag:blogger.com,1999:blog-5641029899517438610.post-29266040119101068392008-04-10T21:15:00.003+02:002008-04-11T09:49:18.660+02:00Pensieri per una cara amica, alla vigilia del suo matrimonio<div align="justify">Tre sono le cose che servono ad una storia: le unghie per difendere ragioni, i denti per stringerli e tener duro, il respiro per strozzarlo di una sillaba e di un secondo quando c’è da portar pazienza e farlo diventare sospiro. Non è vero che amare è facile, ancora meno lo è vivere l’amore, ma ci si può riuscire. Lo fanno in tanti. Con unghie. Denti. E respiro. Le storie hanno le rughe, proprio come la pelle. Rughe in cui passano momenti. Momenti di fondi di padelle bruciati, bollitori lasciati a fischiare nel silenzio delle coccole, valige fatte e poi disfate il tempo di una pace, notti di “vai tu, vuole la mamma”, porte sbattute su cui appoggiare la guancia, piumoni tra cui nascondere i buchi di un pigiama, tavoli di disordine comune, silenzi da riempire con ti amo improvvisi, abitudini da imparare, abitudini da accettare, abitudini da cambiare… Da domani in poi la tua vita sarà tutto questo, sarà anche questo. Non è facile, e ora lo posso dire. Ma è bello, anche per te che non credi ai riti, alla forma, all’etichetta, ai sì e alle promesse d’amore eterno. Tu che d’eterno pensi esistano solo i tuoi cactus, domani lo prometti che durerà in eterno. Auguri, e per lo meno credici questa volta!</div>Unknownnoreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-5641029899517438610.post-8270922999906836662008-04-09T20:43:00.009+02:002008-04-11T09:43:46.365+02:00Se tu mi dimentichi<p><span style="font-family:verdana;font-size:85%;">"...Se consideri lungo e pazzo </span></p><p><span style="font-family:verdana;font-size:85%;">il vento di bandiere</span></p><p><span style="font-family:verdana;font-size:85%;">Che passa per la mia vita</span></p><p><span style="font-family:verdana;font-size:85%;">e ti decidi a lasciarmi sulla riva </span></p><p><span style="font-family:verdana;font-size:85%;">del cuore in cui ho le radici,</span></p><p><span style="font-family:verdana;font-size:85%;">pensa che in quel giorno, </span></p><p><span style="font-family:verdana;font-size:85%;">in quell’ora, </span></p><p><span style="font-family:verdana;font-size:85%;">leverò in alto le braccia </span></p><p><span style="font-family:verdana;font-size:85%;">e le mie radici usciranno</span></p><p><span style="font-family:verdana;font-size:85%;">a cercare altra terra..."</span></p><p><iframe allowfullscreen='allowfullscreen' webkitallowfullscreen='webkitallowfullscreen' mozallowfullscreen='mozallowfullscreen' width='439' height='352' src='https://www.blogger.com/video.g?token=AD6v5dwIfbn6-1P3a3DAWbb-XqObU8zFESg9tu7ooozT0WLHuxSreFJYrAuX-nuR0PsXSdyZYtgHcs4vl-vJVkFvSg' class='b-hbp-video b-uploaded' frameborder='0'></iframe></p>Unknownnoreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-5641029899517438610.post-80967962280271504752008-03-25T21:13:00.003+01:002008-03-25T21:18:50.147+01:00Post di blocco<div align="justify">28 giorni di "blog momentaneamente sospeso per blocco emozionale".<br />Odio i cambiamenti e ora son dentro ad uno.<br />Aspetto che la novità diventi ogni giorno uguale per poi metterci passione.<br />Quando accade torna tutto il resto.</div>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5641029899517438610.post-66271333873330652202008-02-26T22:45:00.002+01:002008-02-26T23:19:32.205+01:00Dove vivo io<div align="justify">Dove vivo io, ci vivo io ma se fa le prove la cantante siciliana ci vive pure lei, che mi sembra di sentirla mentre ammazza mina regalandole le doppie di Montalbano e le S asciutte di una bocca rifatta in economia.<br /><br />Dove vivo io, ci vivo io ma se segna Mutu in viola, ci vivono anche i toscani, che si dicono zio e nipote, stessa età e stessa stazza, che se lascia per sbaglio un bottiglione lo zio, finisce le gocce il nipote e poi la notte sono grida e ti chiedi se anche stanotte giocheranno al dottore e all’ammalato.<br /><br />Dove vivo io, ci vivo io, ma se appena accenna il sole ci vive la Signora Milena che, non si sa come, trova sempre un nido d’api sulle rose appena fuori dalla tenda di casa tua, e ti fa un favore a mandarle via che poi ti pungono il bambino e forse una ti è finita in casa e “aspetta che mi siedo un momento così poi te la mando fuori…”<br /><br />Dove vivo io, ci vivo io, ma se c’è qualcosa fuori posto ci vive anche il Signor Guindani che se è nervoso pulisce i vetri<br />e pulisce i vetri<br />e pulisce i vetri<br />e pulisce i vetri…<br />e il giorno che scopro che ha il porto d’armi, mica ci torno più la sera a casa dopo le dieci.<br /><br />Dove vivo io, ci vivo io, ma se è agosto ci vive pure la Sandra, tette stanche e cosce a buchi, che i suoi figli sono uguali, forse più grassi forse più ignoranti, e che poco cuore hai se non capisci che loro sono abituati ai tremilaetrecentometriquadri della villa a casa, e non è colpa loro se questo Kleenex di verde che ci dividiamo in dieci lo trattano come fosse la pista del loro trenino e i binari ce li fanno con la bici.<br /><br />Dove vivo io, ci vivo io, ma se si riesce a parcheggiare la barca in garage, ci vive pure la signora di monza, che in fondo nessuno rispetta le regole e perché deve farlo lei?<br /><br />Dove vivo io, ci vivo io, ma se tutto va bene prima o poi ci vivrà un altro e gli lascio tutto, lo giuro, anche le rose con le api…</div>Unknownnoreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-5641029899517438610.post-82888269014958298302008-02-25T14:43:00.001+01:002008-02-25T15:17:04.240+01:00Un posto a fianco<div align="justify">Esistono gli uomini che ti fanno sentire diversa? Sì, esistono. Ora ne ho la prova. Una prova scritta. Li incontri una sera, una sera magari un po’ sola, in una chat. Uno di quei posti in cui che sei libera, simpatica, carina e cerchi amici, lo dichiari mettendo una crocetta. E così incontri Pippo, che non aveva niente da fare, che era la prima volta che entrava, che non sa come funzionano queste cose, ma ci ha voluto provare… In fondo anche per te è la prima volta, mica vorrai dirglielo che è da più di un anno che provi a raccontare a sconosciuti cose che nemmeno tu hai il coraggio di dirti allo specchio? E così Pippo diventa il motivo della sera. Il motivo del correre a casa, il motivo del saltare la lezione di yoga, il motivo dello stramaledire la telecom se una sera non funziona l’ADSL, il motivo per sorridere un po’ di più, ora che c’è lui. Pippo è ovviamente simpatico, ha ovviamente la battuta pronta, non ti chiede la foto la seconda volta che ti vede on line e non ti risponde inviandoti il fotomontaggio della sua. Quindi forse Pippo è diverso dagli altri. Sì, Pippo è diverso dagli altri, perché dopo solo una settimana ti parla di Greta, Greta che la conosce da una vita, Greta che è la sua vita, Greta che fra sei mesi se la sposa, aspettano solo gli allacciamenti e di entrare con il caldo, così – sai - non c’è subito la botta del metano. Greta che lavora con i turni e lui non sa che fare, quindi entra in chat – anche se non l’ha mai fatto, lo ripete di nuovo – e per fortuna che ha incontrato te, che gli sei diventata amica, che sente un feeling incredibile, che ci prova a chiamarlo con i paroloni e ti parla di empatia, e ti dice che gli sembra di conoscerti da sempre. E tu che fino ad ora quasi non ci credevi più, pensi che questa volta hai trovato una persona sincera, perché altrimenti figurati se te lo diceva che stava con Greta e l’amava così tanto. E un po’ ti rode, quando te l’ha detto il tonfo l’hai sentito e hai sperato che l’ADSL smettesse allora di funzionare, ma se ne è rimasto tutto lì e lui ti ha incalzato “hey, ci sei ancora? Non ci sarai rimasta male?”… Ma no, quando mai?!? E via un’emoticon felice dietro l’altra… Mica sei una che sperava di trovare l’amore in chat, tu?!?! Spiegaglielo di nuovo a Pippo che sei lì solo per far passare un po’ il tempo… Così passano i giorni, e passi soprattutto le sere a sperare che Greta abbia di nuovo il turno e Pippo sia ancora lì per raccontargli che ti è finalmente arrivata la scrivania e ora non devi più scrivere sdraiata tutta storta sul letto, e lui ti chiede di descrivergli la tua casa, il tuo “ampio monolocale parzialmente arredato” con il balcone non fiorito che dà sull’interno di un cortile di Rozzano Milanese, una periferia che pensavi fosse solo la sede di immensi stabilimenti dell’Auchan e invece ci sei andata a vivere tu perché costava meno di Milano e ci stanno quelli come te che arrivano a fine mese con latte e Kellog’s dal 26 in poi. E Pippo è lì, e ti immagina seduta alla tua scrivania nuova, che cerchi di non far strisciare il braccialetto altrimenti la graffi, e sorridi perché ci sei davvero stata attenta. Come ti conosce bene oramai Pippo. Talmente bene che forse ora gli puoi dire di sì per quel caffé, magari in pausa pranzo, così vede che lavori in centro e magari ti senti più sicura e ti viene meno da arrossire. E così gli dici sì. Caffé d’orzo, macchiato, in tazza grande. Pippo ride, le donne devono sempre allungare le cose. No, dai, Pippo, non deludermi. Non dirmi queste frasi, che mi ricordi mio fratello, che ancora pensa che le donne non dovrebbero avere le patente. E forse lo pensa anche Pippo, però non lo dice, perché già non ci ha preso commentando quelle tre gocce d’orzo perse in una tazza da colazione. Pippo è un po’ come te lo aspettavi, forse qualche anno in più, forse qualche chilo in meno. Ti mostra Greta. Greta nel portafoglio, due anni fa al mare, che ora i capelli se li è fatti più scuri perché stanno meglio con l’abito da sposa avorio che si è presa. Greta che ride e forse ride un po’ di te che ci hai sperato fino alla fine che lei non esistesse. Quanti anni avrà Greta? La tua età? Non lo vuoi sapere.<br />Le lasci i suoi anni e le lasci Pippo.<br />Pippo che non è on line stasera. Pippo è con Greta. E tu sei sola, di nuovo. Come lo eri prima, anche se c’era Pippo, però ti sembrava di esserlo di meno. Sola a chiederti se esiste una meritocrazia in amore, perché se esiste, tu te lo meriti. Anche solo per quanto ci credi. Tu che ancora barcolli per stare in equilibrio, ma non lo vuoi questo equilibrio, perché ti vuoi perdere e non trovarti mai più, se non dentro il profumo di qualcuno a cui hai detto chi sei. Chi sei davvero. E Pippo non ha capito chi sei davvero, altrimenti non te lo chiedeva al primo incontro, davanti a una tazza d’orzo, di diventare la sua amante, che se “frequenti” la chat di sicuro non sei una ragazza seria, perché Greta – che è seria – non lo fa. Ma Greta perché è seria, è un po’ rigida, invece chissà tu cosa fai... E Greta è la donna della vita di Pippo, però la vita a volte può essere monotona e tu puoi essere il diversivo, che in fondo è così per tutti, perché quando ci si sposa poi ci si annoia. E magari conviene anche a te avere qualcuno che ogni tanto ti fa sentire bella, perché bella lo sei, anche se hai smesso di guardarti per accorgertene. E così ti alzi e te ne vai e lasci Pippo, i suoi anni in più e i suoi chili in meno davanti alla tazza ormai vuota d’orzo.<br />Te lo lascio, Pippo, cara Greta. Ti lascio Pippo, il tuo vestito avorio, i tuoi capelli ora scuri, che tingerai di mogano per nascondere il grigio della monotonia di un rapporto in cui ti crederai felice per non raccontarti la verità. Ti lascio Pippo e il suo doppio gioco, che non l’ho fatto giocare con me perché io non ci sto più a giocare. Io ora voglio far sul serio. Io sono diversa. E stasera chiudo il pc e magari ammetto di sentirmi sola, e chiamo mamma e la ascolto mentre mi chiede se “mi sono messa finalmente a posto” che poi “a posto” non so cosa sia, lei che nella sua vita il posto l’ha trovato un passo dietro a papà, sempre zitta perché se poi si infastidisce e grida i vicini sentono. Sono “a posto”, mamma, sono a posto. Sono sola, ma sono a posto. Ora incido il mio nome e la data sulla scrivania nuova, come si faceva a scuola, e me lo ricordo che da oggi cammino una volta ancora con le mie gambe. E un posto accanto a qualcuno prima o poi lo trovo, a fianco di qualcuno, mamma. Non dietro.</div>Unknownnoreply@blogger.com4tag:blogger.com,1999:blog-5641029899517438610.post-89372965427394227132008-02-25T14:40:00.002+01:002008-02-25T14:43:36.010+01:00Oggi va così<div align="justify">Sono uscita dall’ufficio a piangere perché patty mi ha detto di un bimbo, figlio di suoi amici, 20 mesi e un virus improvviso. Una corsa all’ospedale. Intubato. Epiglottismo. E ora, dopo giorni di rianimazione, fatica a respirare, piange da solo, guarda nel vuoto e rifiuta la mamma. I dottori dicono che “si è sentito abbandonato”. Esiste qualcosa di più triste? Robi, che probabilmente era ottimista anche nella pancia di sua madre, mi ha detto “no, però esiste qualcosa di più felice: è ancora vivo”. Robi è così: il bicchiere è sempre mezzo pieno, lo insegna anche a sua figlia, lo farà anche con Leo. Farà le stesse cose: lo obbligherà a mangiare pesce e gli insegnerà che va tutto bene, sempre e comunque. Robi è così.</div><div align="justify"> </div><div align="justify"></div><div align="justify">Laura dice che sono in pre-ciclo, è per quello che piango. A lei capita se sbaglia strada. A me capita se penso a mio figlio e mi arrivano le lacrime agli occhi solo a scandirlo nella mente: mio figlio. Mio figlio si chiama Leonardo. Ecco, sono arrivate le lacrime… Oggi va così, sono in pre-ciclo. Tra donne si parla anche di questo.</div><div align="justify"> </div><div align="justify"></div><div align="justify">Scrivo qui perché è da una vita che mi sento dire che scrivo bene, che “tocco” le persone con le parole. Però non so parlare di politica, di rifiuti a Napoli (città che tra l’altro amo come ho amato pochi posti), di pd o pdl. Non so nemmeno che video pubblicherò, io che ascolto un giorno James Blunt e quello dopo Bruce Springsteen. So che vado dall’estetista, dal parrucchiere, dalla mia amica più cara e mi sembra di sentire ciò che sente, mi viene da dirle: perché non mi scrivi così ti rispondo? Volevo una rubrica su un settimanale, una di quelle cose che leggi dal parrucchiere, un “Scrivi a Stefi” dove far sfogare il cuore. E Robi, che non riesco a scrivere più di dieci righe senza nominarlo, mi ha aperto questo blog. Adesso, appena trovo il coraggio, mando una mail a tutte le persone che più amo e gli chiedo di scrivermi, magari lo dico anche all’estetista, la prossima volta che vado a farmi le unghie. Chissà se ce l’ha un indirizzo email la mia estetista. Così, “Scrivi a Stefi”, quando ti capita. Anche quando sei in pre-ciclo.</div>Unknownnoreply@blogger.com1